Scrittore italo-pakistano in residenza
Saif ur Rehman Raja
presenta la traduzione slovena del suo libro Hijra
14.3. h19.30 Teatro popolare sloveno di Celje
15.3. h20.00 Cankarjev dom, Lubiana
Eventi in italiano e sloveno con traduzione simultanea in sloveno.
Per saperne di più: festival-fabula.org/2025
Saif ur Rehman Raja (1994) è nato a Rawalpindi, in Pakistan, e si è trasferito in Italia all’età di 11 anni, prima a Belluno e poi a Bologna. Si è laureato in Scienze pedagogiche e ha ricevuto il premio UAAR per la sua tesi. Ha collaborato con l’Università di Bologna a progetti di ricerca sulle famiglie pakistane in Italia e attualmente è dottorando presso l’Università di Siena. La sua ricerca accademica si concentra principalmente sul multiculturalismo e sulla teoria critica della razza.
Il libro:
Saif, nel suo romanzo autobiografico Hijra (2024), divide la sua vita in un prima e un dopo: il prima è la sua infanzia a Rawalpindi, insieme ad amma Shakeela, ai due fratellini e alla numerosa famiglia del nonno materno, tutti nella stessa casa con un cortile aperto, da cui entra il cielo, con il rituale della preparazione delle spezie e dei pasti in famiglia; il dopo arriva a undici anni, quando amma si trasferisce in Italia con i due fratellini per raggiungere il padre, abba Shabbir. Il dopo significa due anni di attesa, prima di poterli raggiungere a causa dei documenti e dei criteri ufficiali. Due anni in cui Saif è esposto al pericolo perché ama ballare, cucinare, pettinare le sue cugine e fare cose considerate “da donne”. Ma il dopo è anche l’Italia, il ricongiungimento con i genitori nella piccola Belluno, lontano da odori familiari e dagli amici, immerso nella fanghiglia della neve e nei pregiudizi. Quando torna in Pakistan, con la speranza di un’accoglienza diversa, viene accolto come il nipote italiano che non può più rappresentare le tradizioni della famiglia. Entrambi i Paesi prendono le distanze da lui perché non è “puro”. È troppo pakistano per gli italiani, troppo italiano per i pakistani. Diventa apolitico, non per scelta, senza una patria che lo accetti e senza una famiglia che lo riconosca: Saif è omosessuale o, come lo chiama abba Shabbir, un hijra, un “mezzo uomo”, a cui bisogna far passare quell’idea con le botte. Come si può acquisire il diritto a un’identità distinta se tutto ciò che ci definisce è l’etichetta imposta dagli altri? Come costruire questa identità? Il ragazzo, diviso tra due culture e vittima di un doppio pregiudizio, è determinato a decidere da solo chi essere, cosa desiderare e a chi appartenere.
Saif Raja, foto Claudia Pajewski